Il caso del dott. Scaglione

Quello del dott. Giuseppe Scaglione rappresenta un caso a parte, poiché NON è associato alla questione della mancata diagnosi di cui abbiamo già abbondantemente discettato, ma riguarda il diritto alla tutela delle informazioni relative alla propria condizione clinica e quindi la selezione dei soggetti che possono venirne a conoscenza.

In effetti, al momento di raccogliere il consenso, mia madre, nel pieno delle sue facoltà intellettive, ha indicato quali destinatari delle informazioni sensibili sulla sua salute noi familiari intimi e la sua unica sorella vivente.
Per vari motivi che sarebbe tedioso quanto inutile spiegare qui, NON sono mai stato d’ accordo sul fatto che anche mia zia dovesse essere messa a conoscenza della situazione, ma se mia madre voleva così, era suo pieno diritto, ed io lo avrei rispettato.
Tuttavia, in questa situazione si va ad inserire “incidentalmente” un elemento destabilizzante che ridefinisce in maniera non certo trascurabile la validità dei consensi raccolti: infatti, per condivisibili e umanissimi motivi – che peraltro approvo pienamente – a mia madre è stata taciuta la REALE gravità della situazione…MA, allora…si può ancora affermare che se avesse saputo la verità avrebbe voluto ugualmente che la sorella ne fosse informata?
Conoscendola direi di no.
E i fatti che sono accaduti in seguito mi hanno dato ragione.

Naturalmente per questo motivo anche il dott. Scaglione è finito sulla scrivania del dott. Pietro Ianniello, presidente dell’ Ordine dei Medici di Benevento, ma l’ esposto ha avuto lo stesso esito di tutti gli altri: nessun illecito etico o deontologico rilevato nell’ operato del medico.

Ho rappresentato (inutilmente) al dott. Ianniello che la mancata comunicazione di diagnosi e prognosi REALI alla paziente (mia madre) – ancorchè mossa indiscutibilmente da buone intenzioni – costituisse condizione invalidante i consensi forniti circa la comunicazione di informazioni cliniche sensibili.
Ho fatto presente che, con ogni probabilità, se mia madre avesse saputo NON avrebbe mai acconsentito, ma mi è stato risposto – giustamente – che la mia era solo una mera congettura.
Ho risposto che anche supporre che il particolare fosse del tutto indifferente era – altrettanto giustamente – una mera congettura…ma si sa, tra la mia congettura e quella del presidente dell’ Ordine dei Medici la mia avrebbe avuto più valore…

Tuttavia per me il quesito etico-deontologico rimane aperto: è da considerarsi valido il consenso fornito dal paziente alla comunicazione delle proprie condizioni cliniche ANCHE quando lo stesso è allo scuro della reale gravità della situazione?